Negli ultimi mesi si è sentito spesso dire che il nuovo coronavirus si fosse ingentilito e che la sua aggressività si fosse stemperata a causa di una mutazione genetica e grazie ad un clima torrido che ne abbatteva il contagio.
Non è però dello stesso avviso l’associazione anestesisti; Alessandro Vergallo, presidente dell’Aaroi-Emac, ha infatti dichiarato: “Il virus non è meno aggressivo. I pazienti che arrivano in terapia intensiva hanno sviluppato la malattia come nei mesi di inizio della pandemia. Non ci convince chi dice che il patogeno si è indebolito”.
La posizione è in netto contrasto con le dichiarazioni rilasciate nei mesi scorsi dal Professor Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare e Referente Direzionale Aree Cliniche dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, che aveva annunciato urbi et orbi che il coronavirus poteva dichiararsi clinicamente morto. Uno scivolone che lo stesso Zangrillo si è visto costretto a rettificare, adducendo la giustificazione che si trattasse di un pensiero condiviso tra gli addetti ai lavori.
Eppure sono proprio gli addetti ai lavori, nella fattispecie medici anestesisti che lavorano in terapia intensiva, a smentirlo per l’ennesima volta: “La curva epidemica si sta alzando e così anche il numero di persone ricoverate in terapia intensiva – ha spiegato Vergallo – E i malati di Covid-19 che vengono ricoverati in questi reparti non sono meno gravi di quelli arrivati a marzo o aprile”.
“Non ci convince quanto detto da alcuni in questi mesi che il virus sia diventato meno aggressivo – continua il presidente dell’Aaroi-Emac -. La curva epidemica sta risalendo, così come i casi in terapia intensiva, che hanno un’età media più bassa. Per fortuna siamo lontani dal livello di allarme rosso dei mesi di marzo e aprile, grazie – rileva – al contenimento sociale”.
Allora, come si spiega che nonostante la carica virale rimasta immutata, i decessi sono diminuiti? La risposta è da ricercare in diversi fattori: la nuova ondata sta colpendo i giovani, non a caso l’età media dei pazienti infettati è scesa a 29 anni. Rispetto a Marzo poi, il 60% dei casi che vengono scoperti arrivano dal tracciamento dei casi positivi o dalle attività di screening (tamponi rapidi, test sierologici, ecc.) che fanno emergere tanti asintomatici.
Anche il virologo di Padova, Andrea Crisanti, intervenendo alla festa del Fatto Quotidiano, ha spiegato: “I numeri ci dicono che c’è trasmissione del virus sul nostro territorio. Ma bisogna contestualizzare i dati: a febbraio e marzo i tamponi si facevano solo ai gravissimi, gli asintomatici non esistevano e il Cts non ne riconosceva l’esistenza. Ma i numeri di marzo non sono quelli di oggi: i dati Istat ci dicono che i casi di oggi sono 20 volte inferiori rispetto a quelli reali di marzo“.
Sull’argomento, è intervenuto anche il Ministro per la Salute Speranza, che ha esortato a: ” Non dare nulla per scontato. Com’è noto il Covid continua ad avere numeri significativi, quindi guai ad abbassare la guardia. Abbiamo mesi in cui dobbiamo ancora resistere in vista di un vaccino sicuro e cure sicure. In questi mesi dovremo ancora rispettare le regole, quindi l’utilizzo della mascherina e il distanziamento di almeno un metro”.
Non rimane che continuare a seguire le disposizioni sul distanziamento sociale, usare la mascherina e avere sempre a disposizione del disinfettante, in attesa che arrivi un vaccino efficace.