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Come la fisica affronta l’origine dell’universo

"Da dove viene tutto ciò?" La domanda, che ancora attanaglia fisici e astrofisici, sembra non aver trovato una degna risposta, nonostante la validità sperimentale dei modelli teorici sulle origini dell'universo

Tra tutte le domande che l’umanità si è posta sull’universo, forse la più profonda è “da dove viene tutto ciò?”.

Per intere generazioni ci siamo raccontati storie inventate, e tra tutte queste storie abbiamo sempre scelto quella che ci sembrava più opportuna. Solo di recente abbiamo capito che le risposte alle nostre domande possono essere acquisite esaminando l’universo; ovvero da quando le misurazioni scientifiche hanno iniziato a risolvere tutti i dubbi che avevano ostacolato filosofi e teologi.

Come si accese la luce all'alba dei tempi universo

Il 20° secolo ha portato con sé la Relatività Generale, la fisica quantistica e il Big Bang, tutte teorie supportate da osservazioni spettacolari e successi sperimentali. Questi fenomeni ci hanno permesso di strutturare delle previsioni teoriche, che, dopo essere state opportunamente testate, hanno superato pienamente il vincolo sperimentale.

Le origini dell’universo

Con l’eccezione del Big Bang, però, lo scenario di queste previsioni lascia ancora irrisolti alcuni problemi, per i quali è necessario un più approfondito studio. Ogni qualvolta si è cercato di approfondire la nostra conoscenza, ci si è sempre trovati di fronte a una conclusione sconfortante: ogni informazione sulle origini dell’universo non è più contenuta all’interno del cosmo che oggi possiamo osservare. Cerchiamo di tracciare una cronistoria di questo percorso di ricerca.

Negli anni Venti del secolo scorso, a seguito del perfetto incrocio tra due insiemi di osservazioni, è cambiata per sempre la nostra concezione dell’universo. Negli anni precedenti, un gruppo di scienziati guidati da Vesto Slipher aveva iniziato a misurare le linee spettrali – ovvero le proprietà di emissione e di assorbimento della materia – di una varietà di stelle e di nebulose.

Poiché gli atomi, dovunque essi si trovino nell’universo, sono sempre gli stessi, gli elettroni che sono al loro interno effettuano le medesime transizioni: essi hanno gli stessi spettri di assorbimento e di emissione. Ma un paio di queste nebulose, quelle a forma ellittica e spiraleggianti, presentano un forte spostamento verso il rosso (redshift), che corrisponde ad elevate velocità di recessione: più veloci di qualunque altro elemento nella nostra galassia.

L’universo in espansione

A partire dal 1923, Edwin Hubble e Milton Humason, iniziarono a misurare singole stelle all’interno di queste nebulose, riuscendo a determinarne la distanza dalla Terra. Queste stelle si trovavano abbondantemente oltre la nostra Via Lattea: la maggior parte di esse si trova a milioni di anni luce.

Mettendo insieme misurazioni di distanze e di redshift, si perviene a una sola conclusione, supportata anche teoricamente dalla teoria della Relatività di Einstein: l’universo si sta espandendo. Più una galassia è lontana, più velocemente essa appare allontanarsi da noi.

Se oggi l’universo fosse in espansione, allora si dovrebbero verificare le situazioni sotto riportate.

  1. L’universo è sempre meno denso, poiché la quantità di materia in esso contenuta (sempre uguale) occupa un volume crescente.

  2. L’universo è sempre più freddo, in quanto la luce al suo interno viene portata a lunghezze d’onda sempre più ampie.

  3. Le galassie che non interagiscono gravitazionalmente si allontanano sempre di più.

Quelle sopra descritte sono delle situazioni che ci permettono di sviluppare delle previsioni su cosa accadrà all’universo, man mano che trascorre il tempo. Ma le leggi della fisica che ci dicono cosa accadrà nel futuro, sono le stesse che possono dirci cosa è accaduto nel passato, e lo stesso universo non fa eccezione. Se l’universo oggi si sta espandendo, si sta raffreddando e sta diventando meno denso, ciò significa che, in un passato remoto, esso è stato più piccolo, più caldo e più denso.

La grande idea del Big Bang era quella di portare l’universo più indietro possibile: retrocedendo nel tempo, a stati sempre più caldi, più densi e più uniformi. Questo percorso ha condotto a una serie di previsioni rilevanti, tra cui:

  • le galassie più distanti dovrebbero essere più piccole, più numerose, con massa inferiore e più ricche di stelle calde e blu, rispetto alle loro omologhe di oggi;

  • guardando indietro nel tempo dovrebbero esserci sempre meno elementi pesanti;

  • dovrebbe essere esistito un tempo in cui l’universo era così caldo da creare atomi neutri (e un miscuglio residuo di radiazione attuale fredda, che esiste da quei primordi);

  • dovrebbe essere esistito un tempo in cui i nuclei atomici sono stati disintegrati dalla radiazione a elevata energia (lasciando una miscela residua di isotopi di idrogeno e di elio).

Le previsioni sopra descritte sono state tutte e quattro confermate sperimentalmente, con quel residuo bagno di radiazione – originariamente noto con il termine di palla di fuoco primordiale e che oggi chiamiamo radiazione cosmica di fondo – scoperto nella metà degli anni Sessanta e a cui spesso ci si riferisce come alla pistola fumante del Big Bang.

Ciò porterebbe a pensare che si possa estrapolare il Big Bang fino in fondo, ovvero fino a quando tutta la materia e l’energia dell’universo siano concentrate in un unico punto. In questa situazione l’universo raggiungerebbe temperature e densità infinitamente elevate, creando una condizione fisica nota come singolarità: dove le leggi della fisica, così come oggi le conosciamo, forniscono delle previsioni che non hanno alcun senso e non possono essere validate.

Ed eccoci quindi, dopo anni di ricerche, a determinare le origini dell’universo. L’universo è iniziato, in un determinato tempo, con un Big Bang, corrispondente alla nascita dello spazio e del tempo; tutto ciò che è stato osservato, si può considerare come il prodotto di quell’evento.

Per la prima volta, si ha una risposta scientifica che, non solo dice che l’universo ha avuto un’origine, ma anche quando si è avuta questa origine. Riprendendo le parole di Georges Lamaitre, la prima persona a costruire la fisica dell’universo in espansione, il Big Bang è stato un giorno senza ieri.

Solo che il Big Bang ha messo in evidenza una serie di quesiti irrisolti, per i quali però non propone alcuna risposta.

Perché le regioni che sono casualmente scollegate – per esempio, non riescono a scambiarsi delle informazioni, nemmeno alla velocità della luce – hanno la stessa temperatura?

Perché, alle origini, la velocità iniziale di espansione dell’universo e la quantità totale di energia dell’universo (che gravita e quindi si oppone all’espansione), erano perfettamente bilanciate?

E perché, se alle origini sono state raggiunte temperature e densità così elevate, non vi sono residui di quei periodi, rimasti nell’universo attuale?

L’inflazione cosmica

Intorno agli anni Settanta, i fisici e gli astrofisici nutrivano delle forti perplessità relativamente a questi problemi, proponendo diverse teorie per giungere a delle risposte plausibili. Nel 1979, un giovane teorico di nome Alan Guth, propose una teoria che cambiò la storia.

Questa nuova teoria fu chiamata inflazione cosmica, e ipotizzava che forse l’idea del Big Bang poteva rappresentare una buona estrapolazione fino a un certo punto nel tempo, prima del quale sarebbe potuto esistere uno stato inflazionario. Invece di considerare arbitrariamente alte temperature, densità ed energie, l’inflazione afferma che:

  • l’universo non era pieno di materia e radiazione;

  • l’universo possedeva una grande quantità di energia contenuta nello stesso tessuto dello spazio;

  • questa energia ha causato l’espansione esponenziale dell’universo (con una velocità di espansione che non cambia con il tempo);

  • questa espansione conduce l’universo verso uno stato piatto, vuoto e uniforme, finché l’inflazione non si esaurisce.

Quando l’inflazione si è esaurita, l’energia connessa con lo spazio – energia che ha ovunque lo stesso valore, eccetto per le fluttuazioni quantistiche impresse su di esso – è stata convertita in materia ed energia, dando origine a un Big Bang a elevata temperatura.

Da un punto di vista teorico, questa ipotesi offreuna spiegazione fisica plausibile per quelle proprietà osservate, che il Big Bang da solo non era in grado di spiegare.

Le regioni casualmente disconnesse hanno la stessa temperatura perché discendono tutte dalla stessa zona inflazionaria di spazio. La velocità di espansione e la densità di energia sono perfettamente bilanciate perché, prima del Big Bang, l’inflazione ha dato all’universo quei valori di velocità di espansione e di densità di energia. E, infine, non vi sono residui ad alta energia di quei primordi, perché l’universo ha raggiunto una temperatura finita solo dopo che l’inflazione si è esaurita.

Inoltre, l’inflazione ha prodotto anche una serie di nuove previsioni che differivano da quelle del Big Bang non inflazionario, che potrebbero essere testate.

A oggi, sono stati raccolti dati che mettono alla prova quattro di queste previsioni:

  1. L’universo ha avuto un limite superiore massimo, non infinito, di temperatura, raggiunto durante il Big Bang;

  2. L’inflazione dovrebbe possedere delle fluttuazioni quantistiche che si trasformano in imperfezioni di densità nell’universo;

  3. Alcune fluttuazioni dovrebbero esistere su scale oltre l’orizzonte: è possibile che, dal Big Bang, siano pervenute delle fluttuazioni su scale più ampie di quelle della luce;

  4. Quelle fluttuazioni dovrebbero essere invarianti per dimensioni, con ampiezze leggermente più grandi su scale grandi rispetto a scale più piccole.

Con i dati acquisiti dai satelliti COBE, WMAP e Planck, sono state testate le quattro previsioni, e solamente la teoria inflazionaria supporta le previsioni, che sono in linea con quanto sperimentalmente osservato. Questo quindi significa che il Big Bang non è stato effettivamente l’inizio di tutto: esso è stato solo l’inizio dell’universo, così come siamo abituati a conoscerlo. Prima del Big Bang, vi era uno stato noto come inflazione cosmica, che, dopo la sua fine, ha dato origine al Big Bang, e oggi è possibile osservare i residui di questa inflazione cosmica.

Ma solo per una piccolissima frazione di un secondo dell’inflazione. Possiamo osservare i segnali che l’inflazione ha lasciato nell’universo solo per i suoi ultimi 10^-33 secondi. È possibile che l’inflazione sia durata quel preciso arco di tempo o poco più. È possibile che lo stato di inflazione sia eterno, o che sia transitorio, come originato da qualcos’altro. È possibile che l’universo sia nato da una singolarità, o derivi come parte di un ciclo, o che sia sempre esistito. Qualunque sia stata la situazione, oggi non disponiamo di alcuna informazione su quei momenti. L’inflazione – per sua stessa natura – cancella tutto ciò che è esistito nell’universo pre inflazionario.

L’inflazione è come spingere il tasto reset del cosmo. Tutto ciò che esisteva prima dello stato inflazionario viene espanso così rapidamente e completamente, che tutto ciò che rimane è uno spazio vuoto e uniforme, con le sole fluttuazioni quantistiche create dalla stessa inflazione. Quando l’inflazione si è esaurita, solo una piccola porzione di quello spazio è diventato l’universo che oggi osserviamo. Qualunque altra cosa, compresa ogni informazione che ci permetterebbe di ricostruire cosa sia successo nei primordi del nostro universo, oggi giace, e per sempre, al di fuori della nostra possibilità di conoscenza.

È in assoluto uno dei risultati più importanti della scienza: riuscire ad andare indietro miliardi di anni e capire quando, e come, l’universo, così come lo conosciamo oggi, sia arrivato fino a noi. Ma come tante avventure, fornire risposte ha destato nuove domande. Purtroppo, i dubbi che oggi attanagliano gli scienziati, difficilmente potranno essere risolti.

Se quell’informazione non è più presente nel nostro universo, sarà necessaria una vera e propria rivoluzione scientifica per risolvere il più grande dei quesiti: da dove viene tutto ciò?

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