I buchi neri? Funzionano come un ologramma

Per studiare i buchi neri in questo nuovo lavoro, i due autori, hanno utilizzato quello che è noto come principio olografico

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Secondo una nuova ricerca di SISSA, ICTP e INFN, i buchi neri potrebbero essere come ologrammi, in cui tutte le informazioni per produrre un’immagine tridimensionale sono codificate in una superficie bidimensionale.

Come affermato dalle teorie quantistiche, i buchi neri potrebbero essere incredibilmente complessi e concentrare un’enorme quantità di informazioni in due dimensioni, come se fossero enormi dischi rigidi naturali.

Questa idea si allinea a quanto indicato nella teoria della relatività che descrive i buchi neri come tridimensionali, semplici, sferici e lisci. In breve, i buchi neri sembrano essere tridimensionali, proprio come gli ologrammi. Lo studio, che unisce due teorie discordanti, è stato recentemente pubblicato su Physical Review X.

Il mistero dei buchi neri

Per gli scienziati, i buchi neri pongono formidabili sfide teoriche per molte ragioni. Sono, ad esempio, un ottimo esempio delle grandi difficoltà della fisica teorica nell’unire i principi della teoria della relatività generale con quelli della gravità quantistica.

Secondo la relatività, i buchi neri sono corpi semplici senza informazioni.

Secondo la fisica quantistica, come sostenuto da Jacob Bekenstein e Stephen Hawking, sono i sistemi esistenti più complessi perché sono caratterizzati da un’entropia enorme, che misura la complessità di un sistema e, di conseguenza, contengono enormi quantità di informazioni.

Il principio olografico applicato ai buchi neri

Per studiare i buchi neri, i due autori del nuovo studio, Francesco Benini (professore SISSA, consulente scientifico ICTP e ricercatore INFN) e Paolo Milan (ricercatore SISSA e INFN), hanno utilizzato quello che è noto come principio olografico.

Secondo quanto scritto dai ricercatori, “Questo principio rivoluzionario e in qualche modo controintuitivo propone che il comportamento della gravità in una data regione di spazio possa essere in alternativa descritto in termini di un sistema diverso, che vive solo lungo il bordo di quella regione e quindi in una dimensione in meno E, cosa ancora più importante, in questa descrizione alternativa (chiamata olografica), la gravità non appare esplicitamente, in altre parole, il principio olografico ci consente di descrivere la gravità usando un linguaggio che non contiene gravità, evitando così l’attrito con la meccanica quantistica”.

Ciò che Benini e Milano hanno fatto è applicare la teoria del principio olografico ai buchi neri.

In questo modo, le loro misteriose proprietà termodinamiche sono diventate più comprensibili: concentrandosi sulla previsione che questi corpi hanno una grande entropia e osservandoli in termini di meccanica quantistica, è possibile descriverli proprio come un ologramma: hanno due dimensioni, in cui la gravità scompare, ma riproducono un oggetto in tre dimensioni.

Dalla teoria all’osservazione

Questo studio è solo il primo passo verso una comprensione più profonda di questi corpi cosmici e delle proprietà che li caratterizzano quando la meccanica quantistica viene incrociata con la relatività generale.

Le osservazioni in astrofisica stanno vivendo un periodo di sviluppo incredibile. Basti pensare all’osservazione delle onde gravitazionali derivanti dalla fusione dei buchi neri, il risultato della collaborazione tra LIGO e Virgo, o, in effetti, all’immagine di un buco nero realizzato dall’Event Horizon Telescope.

Nel prossimo futuro, potremmo essere in grado di testare le previsioni teoriche sulla gravità quantistica, come quelle fatte in questo studio, mediante l’osservazione. E questo, da un punto di vista scientifico, sarebbe qualcosa di assolutamente eccezionale.

Font: Physical Review X