Se chiediamo ad una persona qualsiasi quali siano stati gli eventi del Ventesimo secolo che hanno avuto il maggior impatto sulla vita delle persone e innescato profondi mutamenti economici e sociali, le risposte più frequenti sono le due guerre mondiali, la Rivoluzione russa, la caduta del Muro di Berlino e l’ascesa dei totalitarismi.
Nessuno o quasi nessuno cita la “spagnola”, la devastante pandemia influenzale che tra il 1918 ed il 1920, attraversò in tre ondate successive, come una piaga biblica, l’intero pianeta, facendo oltre 50 milioni di morti e 500 milioni di malati su 1 miliardo e 700 milioni di abitanti complessivi. Nessun altro evento, preso singolarmente o anche collettivamente, ha prodotto gli stessi danni sanitari, economici e sociali ed innescato profonde trasformazioni nel modo di vivere dei popoli dell’intero pianeta.
E tutto questo a causa di un virus (anche se nel 1918 l’esistenza di questi agenti patogeni era ancora del tutto da provare), un microorganismo più piccolo di un batterio, che aveva trasformato una malattia stagionale, tutto sommato abbastanza innocua, in un killer spietato e silenzioso.
L’influenza era infatti una malattia ben conosciuta da secoli e dobbiamo andare indietro di oltre due millenni per trovare una prima documentazione scritta della sua esistenza.
Siamo a Perinto, una città portuale sulle coste del Mare di Marmara, nel solstizio d’inverno del 412 a.e.v. ed un giovane medico, Ippocrate, uno dei padri della medicina, riporta come la popolazione della città sia squassata da una tosse incessante accompagnata da altri sintomi quali mal di gola, dolori diffusi, difficoltà di deglutizione, paralisi degli arti e cecità notturna.
Gli storici della medicina, forse confusi dalle due ultime sintomatologie, hanno riconosciuto tardivamente che ci troviamo di fronte alla prima documentazione storica di un’epidemia influenzale (il termine di epidemia fu coniato per l’appunto da Ippocrate).
La tosse di Perinto non è stata però certamente la prima manifestazione di un’epidemia influenzale. Il virus dell’influenza conserva in sé preziosi indizi sulla sua origine. E’ un parassita non in grado di riprodursi autonomamente e che deve necessariamente invadere la cellula di un ospite per replicarsi. Dopodiché la discendenza del virus deve abbandonare il vecchio ospite e cercarne uno nuovo altrimenti muore e l’influenza si estingue.
Il virus influenzale come tutti i patogeni che si trasmettono per via respiratoria lo fa attraverso l’espulsione dei cosiddetti droplet (goccioline di muco) dalla bocca o dal naso di una persona infetta. Queste goccioline sono in grado di “viaggiare” per qualche metro prima di depositarsi a terra o evaporare. Di conseguenza perché l’influenza si propaghi le persone devono vivere a stretto contatto l’una con le altre.
Per gran parte della storia, gli esseri umani hanno vissuto isolati ed in piccolissimi gruppi. I cacciatori-raccoglitori non soltanto erano popolazioni nomadi ma vivevano al massimo in gruppi composti da poche unità. La svolta avviene con la domesticazione di animali e piante, la nascita dell’agricoltura e lo sviluppo dei primi insediamenti stanziali.
Si forma insomma l’ambiente ideale per le “malattie di massa”. Queste aggrediscono una comunità, ne uccidono diversi componenti e lasciano gli altri con un’immunità temporanea o permanente. Prima della rivoluzione agricola questi patogeni non sarebbero sopravvissuti. Ma allora da dove proviene il virus influenzale?
La risposta è semplice: dagli animali.
Ci sono patogeni che infettano solo animali ed altri che infettano sia uomini che animali, l’influenza appartiene a questa categoria. Generalmente si ritiene che la riserva naturale dell’influenza siano gli uccelli ed in particolare gli uccelli acquatici. Uno degli indizi principali che una specie animale svolga il ruolo di reservoir di un virus è che non si ammala di quella malattia. Parassita e reservoir evolvono verso una “pacifica convivenza”.
Le anatre furono tra le prime specie domesticate dall’uomo così come i maiali le cui cellule condividono tratti sia delle cellule umane che degli uccelli, svolgendo così una formidabile funzione di intermediazione che porta una malattia aviaria a diventare una malattia umana.
Tutto ciò premesso è altamente probabile che la prima epidemia influenzale non si sia verificata prima di 10.000 anni fa e con ogni probabilità si è verificata intorno a 5.000 anni fa quando gli insediamenti umani erano diventati più consistenti con la nascita delle prime grandi città dell’antichità.
Se si deve ipotizzare un luogo, premesso che non esiste alcuna fonte scritta in proposito, è probabile che la prima epidemia di influenza abbia colpito la città di Uruk, collocata nella Mezzaluna fertile, intorno al IV millennio a.C. con qualche migliaio di abitanti, ma che nell’arco di circa un millennio raggiunse proporzioni enormi per il tempo. La città, probabilmente la più grande della sua epoca, nel 2.900 a.e.v. raggiunse un’estensione di oltre 6 km quadrati e accoglieva una popolazione compresa tra i 50.000 e gli 80.000 abitanti.
Secondo gli storici è probabile che fu l’influenza a decimare nel 212 a.e.v. gli eserciti di Roma e Siracusa in Sicilia. Lo storico Tito Livio racconta: “I funerali erano quotidiani e l’aspetto della morte era sempre sotto gli occhi”. Probabili epidemie influenzali si verificarono in Europa nel XII secolo ma la prima sufficientemente documentata si svolse sotto il regno di Maria la Sanguinaria nel 1557, uccidendo circa il 6% dei suoi sudditi.
Nel XVI secolo i colonizzatori europei “esportarono” il virus nelle Americhe che ne era del tutto privo, probabilmente anche perché le specie animali domesticabili americane erano pochissime in confronto con quelle euro-asiatiche.
L’epidemia influenzale che farà strage di quasi tutta la popolazione delle Antille sarà portata da Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio nel 1493.
Infine, si ritiene che la prima pandemia influenzale, ovvero un’epidemia che coinvolge più continenti, si sia verificata nel 1580 con origine in Asia e da li sia passata in Europa ed in Africa e forse nelle Americhe. Secondo i racconti raccolti dagli studiosi la pandemia si spostò dal Nord al Sud dell’Europa in sei mesi e nella città di Roma decimò la popolazione con circa 8.000 vittime.
Nel 1781 la malattia, a cui ormai tutti attribuivano il nome influenza, a San Pietroburgo faceva 30.000 infettati al giorno. Il nome della malattia era stato coniato in Italia nel XIV secolo poiché si attribuiva l’insorgere di questa “piaga” all’influenza degli astri.
Ci vorranno però quasi due secoli affinché il nome influenza si imponesse in modo generalizzato in tutto il mondo.