Uno studio recente ha svelato un segreto sorprendente: le origini delle cellule staminali affondano le loro radici molto più in profondità di quanto si pensasse. In particolare, i ricercatori si sono concentrati su due famiglie di proteine, Sox e POU, fondamentali per regolare l’attività delle cellule staminali.
Le origini antiche delle cellule staminali: un viaggio evolutivo
Le cellule staminali, quei mattoncini universali capaci di trasformarsi in qualsiasi tipo di cellula del corpo, sono da sempre considerate un tratto distintivo degli animali. La loro capacità di rigenerare tessuti e organi ha affascinato scienziati e medici, offrendo speranze per la cura di numerose malattie.
Fino a poco tempo fa, si credeva che queste proteine fossero comparse esclusivamente negli animali, rappresentando una sorta di “invenzione” evolutiva che ci avrebbe distinti dai nostri cugini unicellulari. Questa nuova ricerca ha dimostrato che proteine simili a Sox e POU erano già presenti in organismi unicellulari vissuti milioni di anni fa, come i coanoflagellati e i filasterei, considerati i parenti più prossimi degli animali.
Le proteine Sox presenti nei coanoflagellati hanno mostrato una sorprendente somiglianza con la loro controparte umana, Sox2. Anzi, quando queste proteine sono state introdotte in cellule di topo, sono state in grado di trasformarle in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), proprio come fa Sox2. Questo risultato suggerisce che la capacità di riprogrammare le cellule e generare nuove cellule staminali è un’abilità molto più antica di quanto si pensasse.
L’evoluzione delle cellule staminali, quindi, sembra essere stata un processo di adattamento e riutilizzo di strumenti molecolari già esistenti. Le proteine Sox, presenti nei nostri antenati unicellulari, hanno mantenuto la loro capacità di riprogrammare le cellule, mentre le proteine POU hanno subito modifiche nel corso dell’evoluzione, specializzandosi in funzioni più specifiche negli animali.
Questa scoperta apre nuove prospettive per la ricerca sulle cellule staminali. Capire come queste proteine hanno funzionato nei nostri antenati potrebbe aiutarci a sviluppare nuove terapie per malattie come il Parkinson e l’Alzheimer. Inoltre, potrebbe farci riflettere sulla complessità e sull’ingegnosità dei processi evolutivi, che spesso riciclano e adattano strumenti molecolari preesistenti per creare nuove funzioni.
Le cellule staminali, un tempo considerate un tratto distintivo degli animali, hanno rivelato le loro origini antiche. Le proteine Sox e POU, fondamentali per la regolazione delle cellule staminali, erano già presenti in organismi unicellulari, suggerendo che l’evoluzione ha semplicemente riutilizzato e adattato questi strumenti molecolari per creare le complesse strutture degli animali. Questa scoperta ci invita a guardare al nostro passato evolutivo con occhi nuovi, apprezzando la complessità e l’interconnessione di tutti gli esseri viventi.
I segreti dell’attivazione genica
Come è già stato accettato, le proteine Sox e POU, un tempo ritenute esclusive degli organismi multicellulari, hanno radici profonde nell’evoluzione, risalendo addirittura agli organismi unicellulari. Ma come fanno queste proteine a influenzare l’attività genica? Quali sono i meccanismi molecolari che regolano questa interazione?
Il DNA, la molecola che contiene le nostre informazioni genetiche, è una lunga sequenza di nucleotidi. Queste sequenze non sono tutte uguali: alcune regioni, chiamate promotori, fungono da “interruttori” che attivano o disattivano la trascrizione di un gene. I fattori di trascrizione, come le proteine Sox e POU, sono come delle chiavi che si inseriscono in questi promotori, attivando o disattivando la produzione di specifiche proteine.
Le proteine Sox e POU sono particolarmente importanti per la regolazione dell’espressione genica durante lo sviluppo embrionale. Esse si legano a specifiche sequenze di DNA, chiamate siti di legame, presenti nei promotori dei geni. Una volta legate, queste proteine reclutano altri fattori di trascrizione e co-fattori che lavorano insieme per avviare o reprimere la trascrizione.
Ogni fattore di trascrizione riconosce una sequenza di DNA specifica. Le proteine Sox, ad esempio, tendono a legarsi a sequenze contenenti la combinazione di basi A e T, mentre le proteine POU riconoscono sequenze più complesse. Spesso, Sox e POU lavorano in sinergia. Le proteine Sox possono facilitare il legame delle proteine POU e viceversa, aumentando l’efficacia della regolazione genica.
L’interazione tra le proteine Sox e POU e il DNA avviene grazie a strutture proteiche specializzate, chiamate domini di legame al DNA. Questi domini sono in grado di riconoscere e legarsi a specifiche sequenze di basi azotate del DNA. Una volta legato al DNA, il fattore di trascrizione può indurre cambiamenti nella struttura della cromatina, rendendo il DNA più accessibile agli altri fattori di trascrizione e alla macchina della trascrizione.
Gli studi sui coanoflagellati e sui filasterei hanno rivelato che le proteine Sox e POU presenti in questi organismi hanno una struttura e una funzione molto simili a quelle delle loro omologhe animali. Questo suggerisce che i meccanismi di base dell’interazione tra questi fattori di trascrizione e il DNA sono stati conservati nel corso dell’evoluzione.
Conclusioni
L’interazione tra le proteine Sox e POU e il DNA è un processo complesso e affascinante che regola l’espressione genica durante lo sviluppo e la differenziazione cellulare. La scoperta che queste proteine sono presenti anche negli organismi unicellulari suggerisce che i meccanismi di base della regolazione genica sono stati conservati nel corso dell’evoluzione. Ulteriori studi sono necessari per comprendere appieno i dettagli molecolari di questa interazione e le sue implicazioni per la biologia dello sviluppo e la medicina.
La ricerca è stata pubblicata su Nature Communications.