Secondo un rapporto pubblicato dal sito web Axios, il presidente Trump avrebbe proposto di utilizzare bombe nucleari per fermare gli uragani prima che si abbattano sugli Stati Uniti. Il Presidente americano ha ripetutamente smentito la notizia, bollandola come “fake news” ma, intanto, qualcuno ha cominciato ad interrogarsi sugli effetti che avrebbe un simile trattamento sugli uragani.
Secondo quanto riportato da Axios, Trump avrebbe ragionato più o meno in questo modo: “Gli uragani iniziano a formarsi al largo delle coste dell’Africa, perché non gli lanciamo una bomba nell’occhio per bloccarlo e disperderlo mentre è ancora sull’oceano?“
In realtà, si tratta di un concetto non nuovo: alla fine degli anni ’50, si era già pensato ad utilizzare esplosivi nucleari per “modificare i percorsi e le intensità degli uragani“.
Ma un articolo di un gruppo di ricercatori che si occupano di uragani per la National Oceanic and Atmospher Administration (NOAA) ha smontato l’idea. Secondo quanto riportano, è impossibile disperdere un uragano con una bomba nucleare, dal momento che non abbiamo bombe abbastanza potenti e perché gli esplosivi non sposterebbero la pressione dell’aria circostante per più di una frazione di secondo.
Gli uragani sono enormi cicloni a bassa pressione con velocità del vento oltre i 119 km/h che si formano sulle acque calde dell’Oceano Atlantico centrale. Quando l’umidità calda aumenta, rilascia energia, formando temporali. Man mano che si formano più temporali, i venti iniziano a muoversi a spirale verso l’alto e verso l’esterno, creando un vortice. A quel punto cominciano a formarsi aggregazioni di nuvole nell’atmosfera superiore mentre l’aria calda si condensa.
Mentre i venti agitano l’atmosfera, un’area di bassa pressione si forma sulla superficie dell’oceano e aiuta a nutrire la forma ciclonica di un uragano. Se una qualsiasi parte di questo ciclo meteorologico si dissipa – l’aria calda o l’area di bassa pressione – l’uragano perde forza e si disperde.
Così, nel 1959, Jack Reed, meteorologo dei Sandia National Laboratories, ipotizzò che si potessero disperdere gli uragani interrompendo le condizioni meteorologiche che li generano utilizzando armi nucleari.
Reed teorizzò che le esplosioni nucleari potessero fermare gli uragani spingendo l’aria calda in alto e fuori dall’occhio della tempesta, cosa che permetterebbe all’aria più fredda di prendere il suo posto. Secondo lui, questo avrebbe portato la bassa pressione che alimenta la tempesta a dissiparsi e alla fine indebolire l’uragano.
Reed ha suggerito due modi per consegnare la bomba atomica nell’occhio dell’uragano.
“La consegna non dovrebbe presentare particolari problemi“, ha scritto Reed.
Il primo metodo di consegna, disse, sarebbe dall’alto, sebbene “una consegna più adatta potrebbe essere effettuata da un sottomarino“.
Un sottomarino potrebbe “penetrare nell’occhio dell’uragano da sott’acqua” e ” potrebbe lanciarvi un missile” prima di immergersi in salvo.
Ma secondo l’articolo dei ricercatori del NOAA, ci sono due problemi con l’idea di Reed.
(Shayanne Gal / Business Insider)
Gli uragani emettono una quantità incredibile di energia
Gli uragani sono estremamente potenti: un uragano completamente sviluppato rilascia la stessa quantità di energia dell’esplosione di una bomba atomica da 10 megatoni ogni 20 minuti, spiega l’articolo del NOAA. È oltre 666 volte più potente della bomba “Little Boy” che gli Stati Uniti lanciarono su Hiroshima, in Giappone, nel 1945.
Quindi, al fine di eguagliare il potere energetico di un uragano, dovrebbero essere utilizzati circa 2.000 “missili” all’ora.
Persino il più grande ordigno nucleare mai fatto esplodere – una bomba all’idrogeno da 50 megaton conosciuta come Bomba Tsar, che i russi fecero esplodere nel Mar Artico nel 1961 – non basterebbe.
Inoltre, l’articolo del NOAA afferma che una volta che lo shock ad alta pressione iniziale dell’esplosione si sposta verso l’esterno, la pressione dell’aria circostante nell’uragano tornerebbe allo stesso stato di bassa pressione in cui si trovava prima. E l’onda d’urto prodotta da una bomba atomica viaggia più veloce della velocità del suono.
Quindi se non fossimo in grado di far esplodere gli esplosivi nucleari nell’occhio dell’uragano su base continua, non saremmo in grado di dissipare l’aria a bassa pressione che fa andare avanti la tempesta.
Supponiamo, ad esempio, che volessimo ridimensionare un uragano di Categoria 5 come Katrina (con venti intorno a 280 km/h) a una tempesta di Categoria 2 (con venti intorno a 150 Km/h). Dovremmo aggiungere più di mezzo miliardo di tonnellate di aria a un uragano con un occhio di 40 km di diametro, dice l’articolo del NOAA. Una bomba nucleare non potrebbe farlo.
“È difficile immaginare un modo pratico per spostare così tanta aria“, hanno scritto gli autori.
Inoltre, anche un uragano di categoria 2 ppotrebbe devastare proprietà e infrastrutture se arrivasse sulla terraferma.
C’è anche il problema del fallout
L’articolo del NOAA afferma anche che se dovessimo colpire un uragano, le ricadute radioattive si spargerebbero ben oltre i limiti dell’uragano.
“Questo approccio trascura il problema che la ricaduta radioattiva rilasciata si sposterebbe abbastanza rapidamente trasportata dal vento, finendo per colpire le aree terrestri e causare devastanti problemi ambientali“, hanno scritto gli autori.
Il Fallout è costituito da una miscela di radioisotopi che decadono rapidamente ed emettono radiazioni gamma, una forma di luce invisibile ma altamente energetica. L’esposizione a troppe di questa radiazioni in breve tempo può danneggiare le cellule del corpo e la loro capacità di ripararsi, una condizione chiamata malattia da radiazioni.
I terreni contaminati da ricadute radioattive possono diventare inabitabili per decenni se non per secoli. Dopo che la centrale nucleare di Chernobyl è esplosa nel 1986 e ha diffuso radiazioni tossiche nell’aria, il governo sovietico fu costretto ad evacuare un’area di 1.500 miglia quadrate.
Se gli Stati Uniti tentassero di sconvolgere un uragano con una bomba atomica, le ricadute radioattive potrebbero diffondersi nelle nazioni insulari dei Caraibi e negli stati che si affacciano sul Golfo del Messico.
“Inutile dire che questa non è una buona idea“, conclude l’articolo del NOAA.
Fonte: Business Insider