L’unica posizione storiografica insostenibile per descrivere la situazione venutasi a creare in Europa nell’estate del 1914 è che essa fu il prodotto di una serie incredibile di circostanze ed incidenti.
In realtà, già pochi anni dopo l’inizio del Ventesimo secolo, nel Vecchio Continente e nelle potenze che contavano (Gran Bretagna, Russia, Francia, Germania ed Austria-Ungheria) crescevano le considerazioni politiche, economiche e militari che precludevano alla catastrofe che inizierà nel 1914.
E’ possibile notare un po’ in tutti i paesi ed in particolare negli Imperi centrali un ruolo preminente dei vertici militari, tutti terrorizzati di farsi sorprendere dal nemico. Da questo punto di vista può risultare interessante esaminare il quadro politico della Germania in quel luglio che precede l’Apocalisse.
Chi comandava a Berlino effettivamente?
I protagonisti principali della vicenda tedesca erano il Kaiser Guglielmo II, il suo cancelliere Theobald von Bethmann-Hollweg ed il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Helmuth Johann Ludwig von Moltke noto anche come Moltke il giovane, per distinguerlo dal più celebre nonno.
Bethmann-Hollweg era dei tre il più soggetto ai voleri del Kaiser. Guglielmo era noto per la sua imprevedibilità, impetuosità e variabilità nei giudizi e nell’analisi politica e militare, per questo Bethmann raramente giocò un ruolo autonomo nella crisi austro-serba che in poche settimane coinvolse l’intera Europa.
Alle 2.55 del 30 luglio, in una delle rare occasioni durante le quali intraprese un’autonoma iniziativa politica, inviò un telegramma cifrato a Vienna sollecitando l’accettazione di una mediazione diplomatica.
Questo telegramma, peraltro fuori tempo massimo, giunse sui tavoli del governo austriaco dopo che le truppe si erano già mosse e Belgrado bombardata, fece pronunciare al Ministro degli Esteri dell’impero asburgico Leopold Berchtold la celebre domanda “Ma chi comanda davvero a Berlino, Bethmann-Hollweg o Moltke?”.
La risposta è abbastanza semplice, in quel terribile mese di luglio, l’uomo forte della Germania era il Capo di Stato Maggiore von Moltke.
Sebbene sia il Kaiser che Bethmann durante quel mese tentennassero più volte sull’opportunità di scatenare una guerra europea a causa dell’intransigenza austriaca, non riuscirono ad adottare l’unica misura che avrebbe potuto evitare la conflagrazione che di li a poco avrebbe sconvolto il mondo, ovvero ritirare l’assegno in bianco concesso al governo di Vienna.
Nelle ultime settimane di luglio, Moltke, che all’epoca aveva 64 anni, sostenuto dal Ministro della Guerra von Falkenhayn (anch’egli militare con il grado di generale) fecero capire, senza equivoci, il primato decisionale dell’esercito.
La sera del 30 luglio, Moltke non era più disposto ad aspettare la mobilitazione russa prima di avviare quella tedesca. I piani di battaglia elaborati dal Capo di Stato Maggiore, che erano poi fondamentalmente un aggiornamento del piano Schlieffen, non prevedevano la possibilità di concedere alcun vantaggio temporale all’Orso russo.
Moltke convinse il Cancelliere che qualunque cosa avesse deciso lo Zar, il giorno dopo, il 31 sarebbe stato firmato l’ordine di mobilitazione dell’esercito tedesco.
Pochi minuti prima di questa scadenza, con grande soddisfazione dei tedeschi, la Russia ordinò la mobilitazione. In questo modo Berlino poteva far passare la bufala che la sua mobilitazione era una reazione difensiva ad un’aggressione da est.
Alle 5 di mattina del 1 agosto il Kaiser firmava l’ordine di mobilitazione e con uno dei suoi tanti atteggiamenti estemporanei e discutibili ordinò che nella suite del Palazzo imperiale fosse servito lo champagne.
Ovunque volti raggianti, strette di mano nei corridoi, complimenti reciproci per aver saltato il fosso. Questo era lo spirito che animava i vertici politici e militari tedeschi in quel caldo giorno di agosto.
Un altro episodio denotò chi detenesse effettivamente il potere in quei frangenti: il giorno prima, mentre si avviavano i protocolli per la mobilitazione dell’esercito, Guglielmo riceve dall’ambasciatore tedesco a Londra, un dispaccio (che si rivelerà poi una clamorosa topica) che afferma che la Gran Bretagna non entrerà in guerra contro la Germania se questa rispetterà la neutralità del Belgio.
Moltke, che ha appena lasciato il Palazzo Imperiale, viene richiamato dal Kaiser che gli dice che a questo punto la Germania avrebbe dovuto attaccare soltanto ad oriente.
Moltke inizialmente rimase sconvolto e ribattè al Kaiser che i piani di mobilitazione non potevano essere cambiati nel giro di poche ore, poi la rabbia prese il sopravvento e fece capire al sovrano che l’ora della diplomazia era finita e che nessuno, neppure il Kaiser, poteva intromettersi in decisioni che spettavano esclusivamente alle autorità militari.
Fortunatamente per Guglielmo che se la stava vedendo brutta, arrivò la notizia del fraintendimento dell’ambasciatore tedesco a Londra e Moltke lasciò il Palazzo rosso in viso ancora fuori di sé, dicendo al suo aiutante: “Io voglio combattere contro i russi ed i francesi, non contro un Kaiser cosi’”.
La moglie qualche tempo dopo asserì che, secondo lei, il marito doveva aver avuto un piccolo ictus visto le condizioni assolutamente provate con cui ritornò quella sera a casa.
Da tempo il Capo di Stato Maggiore non godeva di buona salute ed aveva una certa fragilità nervosa e questi limiti dell’uomo apparvero in tutta la loro drammatica evidenza proprio adesso che la guerra tanto desiderata e voluta da Moltke era alle porte.
Basteranno sei settimane per distruggere nel fisico e nel morale il nipote del grande Moltke, il feldmaresciallo dell’esercito prussiano artefice delle vittorie contro la Francia e la Russia del XIX secolo.
Durante la campagna della Marna del 1914, che si rivelò un sostanziale fallimento per l’esercito tedesco, infatti la salute di Moltke si deteriorò e fu sostituito da Erich von Falkenhayn.
Morì a Berlino il 18 giugno 1916.